Capitolo 11
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Commercializzazione
ed esportazione


Dopo la grave crisi che, dal 1798 al 1801, col morbo nero aveva messo in ginocchio l’economia della regione camarinese, si ebbe una buona ripresa del commercio, che si effettuava dallo scalo di Scoglitti.

Ciò determinava un diffuso benessere e quindi la conduzione in gabella dei vigneti per cui, data la forte richiesta di manodopera, si giustificava l’introduzione nel 1854 del cosiddetto aratro Busacca in cui la "scocca" veniva realizzata interamente in ferro, senza badare a spese, in quanto veniva impiegato nella coltivazione vitivinicola.

Infatti, il Busacca modificando il giunto dell’aratro a "scocca" tradizionale con un giunto snodato, che consentiva quasi l’intera rotazione trasversale dell’aratro rispetto alla "scocca", riusciva a far entrare l’animale e l’aratro nei vigneti senza provocare alcun danno agli alberelli e risparmiando alcune fasi della zappatura, come quella di gennaio e febbraio.

Tale ripresa vitivinicola e il conseguente benessere diffuso si denota anche da un manifesto del 1865 con cui gli eredi di Don Luigi Scrofani davano in gabella, per anni 6, gli appezzamenti dei vigneti o "vignali" che possedevano nell’ex feudo di Buonincontro, per avere i quali i gabelloti interessati all’assegnazione dovevano partecipare ad un’asta pubblica previo deposito di una determinata somma di denari, che variava a secondo dell’appezzamento richiesto. La possibilità di concorrere a tale asta pubblica così congegnata, denuncia non solo la presenza del latifondo, ma anche un benessere diffuso, in mancanza del quale l’asta sarebbe rimasta deserta e senza concorrenti, mentre la massiccia presenza lasciava prevedere la lievitazione delle gabelle.

Infatti troviamo che, dopo l’unità d’Italia, lo stesso Nino Bixio il 31/3/1871 fece presente al Senato del Regno la necessità di costruire un adeguato porto a Scoglitti per la grande quantità di prodotti che giornalmente si esportavano.

Basta ricordare che oltre ai 40 bastimenti a vela, che ancora si contavano il 28/2/1885 in rada a Scoglitti, vi erano i bastimenti a vapore che fin dall’8/7/1877 venivano per caricare soprattutto il vino. Questo veniva trasportato da Acate, Chiaramonte, Comiso, Terranova e Vittoria a Scoglitti dove, come ricordato dal Regio Delegato Arpa nella relazione dell’1/6/1885, nei periodi di commercio arrivavano oltre 1500 carri al giorno.

Ora, considerando che ogni carro trasportava in media 15 "carratedda" da 40 litri, si aveva un totale di 900000 litri di vino al giorno da trasbordare dai 22500 "carratedda" sui bastimenti. Tale operazione era alquanto lunga e impegnava una notevole quantità di animali, persone e artigiani, che lavoravano alacremente.

Infatti, più erano i velieri da caricare e più era il lavoro disponibile, in quanto ogni commerciante aveva fretta di caricare per non rischiare di dover sospendere l’operazione non appena il mare diveniva mosso. Questi disponeva di personale addetto alla misurazione e consegna del vino con l’apposita "quartara" che veniva riempita con una "cannedda" applicata all’uopo, quindi il vino si versava nei "carratedda", generalmente di 40 litri, che, anticamente dai mulattieri a due a due a barda e poi dai carrettieri in numero di 15, venivano trasportati dalla "rispenza" allo scalo.

Qui vi erano i barcaioli che, con le "pippe", specie di "carratedda" a punta di 44 litri circa, dopo averle riempite col vino e collegate, come i grani di un rosario, le trasportavano a traino dalla spiaggia fin sotto il veliero. Qui con delle grosse funi, venivano issate a bordo facendoli rotolare su se stessi e quindi si scaricavano in apposite botti sistemate nelle stive.

 

PROVINCIA REGIONALE DI RAGUSA POLIMUSEO A. ZARINO - VITTORIA
CATALOGO DEI BENI CULTURALI

 SCHEDA N.102/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1933, donazione Gioacchino Occhipinti 1970, Vittoria, fine 1800.

 
102.jpg (5471 byte)Aratro, dal lat. Aratrum, in sic. Aratru a scocca (Busacca).

Di costruzione artigianale, è costituito da un legno sagomato ossia "puntali", con in alto l’impugnatura, detta "manuzza", e in basso un vomere, ossia "ommira a scarpa" in quanto si mette e toglie come una scarpa. Al centro vi si incastra la pertica, quasi della stessa lunghezza, collegata all’aratro dalla "turnigghia" in ferro, che regola l’angolo di inclinazione per arare più o meno profondo. L’altra estremità della pertica è di forma piatta con un foro passante con due "ciappette", ossia sbarrette di ferro piatto, che servono per protezione del legno e del foro, in quanto costituiva il punto cruciale di snodo con la "scocca", quindi soggetto ad usura. L’invenzione, nel 1854, di questo giunto snodato, su cui ci soffermeremo, faceva prendere all’aratro a "scocca" tradizionale il nome di aratro Busacca.

 

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 SCHEDA N.103/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1930, donazione Armando Giardina 1975, Vittoria, fine 1800.

 103.jpg (6662 byte)Nocca, dal ted. Knochen, in sic. Scocca.

La "scocca" del Busacca, costruita artigianalmente tutta in ferro, denota una certa ricchezza diffusa, in quanto diversamente, per risparmiare, sarebbe bastato realizzare soltanto la testa della "scocca" in ferro. Questa costituisce il punto cruciale dello snodo, nel quale appunto il Busacca, a bella posta, inserisce la "cappillina", che essendo fissata con due ribattini, era facile da sostituire non appena consumata da entrambi i lati, per non compromettere la struttura portante, e quindi la "scocca" stessa.

103A.jpg (32757 byte)Come si può vedere dal disegno del particolare del giunto tradizionale e di quello Busacca, la differenza è sostanziale, se si tiene conto dei luoghi d’impiego, infatti negli Iblei, date le colture cerealicole, continuava a persistere l’aratro tradizionale, mentre nella Piana di Vittoria, quasi interamente piantata a vigneto, si affermava definitivamente l’aratro Busacca (riportato nella foto esplicativa) in quanto consentiva l’aratura del vigneto, senza provocare danni, con notevole risparmio di manodopera.
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 SCHEDA N.104/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. s.n., donazione Giovanni e Filippo Mangione 1980, Vittoria, 1865.

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Manifesto, dal lat. Manifestus, in sic. Manifestu.

Manifesto relativo alla gabellazione di appezzamenti di terra dell’ex feudo di Bonincontro per mezzo di asta pubblica, per partecipare alla quale i concorrenti dovevano depositare una determinata somma di denaro, che variava secondo la consistenza dell’appezzamento interessato. Il documento, unico nel suo genere, forse a livello mondiale, ha una notevole rilevanza nella storia socio-economica della Piana di Vittoria. Riproduzione fotografica del 1981 di Salvatore De Pasquale.

 

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SCHEDA N.105/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1708, donazione Salvatore Siciliano 1988, Vittoria, fine 1800.

 

105.jpg (5364 byte)Cannella, dal franc. Cannelle, in sp. Canela, in sic. Cannedda.

Costruita artigianalmente, è interamente in legno di ulivo lavorato e forato ed ha la forma di una "V" rovesciata, molto aperta, con un tacchetto al vertice che dà sulla estremità troncoconica che andava introdotta nel buco della botte. Ciò in quanto il tacchetto serviva per battervi con il martello e fare aderire perfettamente la "cannedda" al foro della botte, mentre l’altra estremità è chiusa da una spina pure di legno, che fa da tappo. Serviva per svuotare le botti e quando si dovevano fare consegne di vino.

 


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 SCHEDA N.106/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1703, donazione Gianni Carbonaro 1960, Vittoria, inizi 1900.

106.jpg (4868 byte) Cannella, dal franc. Cannelle, in sp. Canela, in sic. Cannedda.

È costruita artigianalmente con due tubi di latta saldati in modo da formare una "V" rovesciata, molto aperta, con un rinforzo al centro, pure in latta. Esso serve a contrastare la forza manuale impiegata per fare entrare l’estremità rotonda della "cannedda" che, per aderire al foro della botte, ha un rivestimento in fibra di canapa che fungeva da premistoppa, mentre l’altra estremità, e appositamente ovalizzata per chiuderla momentaneamente con il pollice durante le consegne di vino, e alla fine con il tappo di sughero.

 


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 SCHEDA N.107/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1764, donazione Rosario Marangio 1979, Vittoria, 1950.

 107.jpg (5483 byte)Rubinetto, dal franc. Robinet, in sic. Rubbinettu, anticamente Margarita.

Di produzione industriale, è costruito in ottone e ha un attacco per la botte leggermente troncoconico e filettato in modo da avvitare nel foro che, essendo nel legno, si autofilettava. All’uscita è dotato di raccordo per gomma flessibile che consentiva di operare comodamente e rapidamente la consegna di grandi quantitativi di vino, senza l’impiego di imbuto e recipienti vari.

 


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 SCHEDA N.108/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1664, donazione Salvatore Gioacchino 1977, Vittoria, fine 1800.

 
108.jpg (6653 byte) Quartara, dal lat. Quartarius (1/4 del sextarius), in sic. Quartaruni i vinu.
Costruita artigianalmente tutta in latta stagnata, si costituisce del collo, o "cuoddu", di forma cilindrica che è attaccato ad un ampio e stretto troncocono, chiamato "pillirina", a cui segue la "panza" che è un cilindro leggermente svasato e chiuso, nella parte più stretta, da un tondello detto "funnu". Questo è protetto dal "circu" in larga "raetta", o ferro piatto sottile, mentre un altro cerchio molto più stretto è messo a protezione del labbro del collo, a cui sono saldati due manici realizzati con 4 "cannola", ossia tubi di latta, che in basso hanno due rinforzi a forma di "scarpuzza". Il "quartaruni" di 20 litri serviva per la consegna, in forma privata, di grandi quantitativi di vino, in quanto con due si riempiva un "carratieddu", usato per il trasporto con i carri a grandi e medie distanze.

 

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 SCHEDA N.109/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1665, donazione Salvatore Gioacchino 1977, Vittoria, fine 1800.

109.jpg (7551 byte) Quartara, dal lat. Quartarius (1/4 del sextarius), in sic. Quartara i vinu.
Costruita artigianalmente tutta in latta stagnata, si costituisce del collo, o "cuoddu", di forma cilindrica che è attaccato ad un ampio e stretto troncocono, chiamato "pillirina", a cui segue la "panza" che è un cilindro leggermente svasato e chiuso, nella parte più stretta, da un tondello detto "funnu". Questo è protetto dal "circu" in larga "raetta", o ferro piatto sottile, mentre un altro cerchio molto più stretto è messo a protezione del labbro del collo, a cui sono saldati due manici ralizzati con 4 "cannola", ossia tubi di latta, che in basso hanno due rinforzi a forma di "scarpuzza". La quartara di 10 litri, sicuramente deriva il suo nome dal fatto che è la quarta parte del "carratieddu" e serviva per grandi consegne di vino in forma privata.

 

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 SCHEDA N.110/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1667, donazione Giuseppe De Marco 1981, Vittoria, inizi 1900.

 
110.jpg (6583 byte) Quartara, dal lat. Quartarius (1/4 del sextarius), in sic. Quartaredda i vinu.
Costruita artigianalmente tutta in latta stagnata, si costituisce del collo, o "cuoddu", di forma cilindrica che è attaccato ad un ampio e stretto troncocono, chiamato "pillirina", a cui segue la "panza" che è un cilindro leggermente svasato e chiuso, nella parte più stretta, da un tondello detto "funnu". Questo è protetto dal "circu" in larga "raetta", o ferro piatto sottile, mentre tra il collo e la "pillirina" ritroviamo i soliti manici, ora privi di rinforzo. La "quartaredda", detta pure di "mienzu cafisu" in quanto della capacità di 5 litri, serviva per modeste consegne di vino in forma privata.

 

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 SCHEDA N.111/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1887, donazione Franco Iacono 1979, Vittoria, inizi 1900.

 
111.jpg (8354 byte)Cafiso, dall’arabo Qafiz, in sic. Cafisu.

Di produzione industriale, è costituito da un pesante cilindro di lamiera stagnata, con alle estremità due stretti cerchi di ferro piatto, di cui quello di sotto a protezione del fondo, pure in lamiera stagnata. Nella parte centrale si trovano due manici ad "U" in tondino di ferro, mentre a coronamento del labbro superiore del cilindro vi è un’ampia "pavera" a mo’ di beccuccio per facilitare lo svuotamento dei liquidi, in genere olio o vino. Esso, poiché punzonato con l’apposito bollo dell’ufficio pesi e misure, serviva per la vendita pubblica in forma legale, in quanto annualmente verificato.

 

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 SCHEDA N.112/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1517, donazione fam. Zarino 1960, Vittoria, 1950.

 
112.jpg (6653 byte)Temperatore, dal lat. Temperator, in sic. Timpiraturi.

Ha una capacità di circa 8 litri e, costruito artigianalmente, è interamente in latta stagnata e serve per dare la giusta misura, come dalla radice etimologica, in quanto nella consegna dei vini serviva a "priinciri", o rifinire il riempimento, delle quartare da mosto e da vino e del decalitro, fino al buco senza farli traboccare. Esso è formato dal collo cilindrico, dalla "pillirina", dalla pancia e dal cerchio come le quartare, però ha un solo manico particolare e in posizione opposta un tubo di latta, o "cannuolu", da dove si versava il liquido, a protezione del quale quasi mezza apertura del collo è chiusa da una "paverina".

 

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 SCHEDA N.113/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1673, donazione Rosario Marangio 1977, Vittoria, inizi 1900. 

113.jpg (5958 byte) Imbuto, dal lat. Imbuere (p.p. Imbutum), in sic. Mutu i lanna.
Costruito artigianalmente interamente in latta, si costituisce di un cilindro, ossia "pavera", che nella parte superiore ha un "rifasciu", ossia rinforzo, costituito da una striscia di ferro piatto, o "raetta". Al di sotto del cilindro vi è "‘ngraffatu" un troncocono, o "pillirina", a cui segue la "cannedda", o cannula, che a metà si ringrossa con un anello di fil di ferro per evitare che, entrando completamente nel foro del carratello, impedisse all’aria di fuoriuscire mentre si travasava il vino.

 

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 SCHEDA N.114/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1674, donazione Gioacchino Occhipinti 1968, Vittoria, inizi 1900.

 
114.jpg (5587 byte) Imbuto, dal lat. Imbuere (p.p. Imbutum), in sic. Mutu i lanna.
Costruito artigianalmente interamente in latta, si costituisce di un cilindro, ossia "pavera", che nella parte superiore ha un rinforzo, costituito da un bordino fatto con la macchina bordatrice. Al di sotto del cilindro vi è "‘ngraffatu" un troncocono, o "pillirina", a cui segue la "cannedda", o cannula.

 


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 SCHEDA N.115/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1688, donazione Salvatore Palmeri 1980, Vittoria, fine 1800.

 
115.jpg (5455 byte)Carratello, dal basso lat. Carrata, in sic. Carratieddu.

È costruito artigianalmente con tavole di castagno sagomate, dette doghe, tenute assieme dai cerchi in "raetta", o ferro piatto, di cui quelli estremi bloccano il fondo e il coperchio. Per la sua particolare forma conservata nel tempo, nel nostro territorio prese e conserva il nome di "carratieddu a vitturisi" e ha la capacità di 40 litri.

 

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 SCHEDA N.116/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. 1676, donazione Giombattista Salerno 1970, Vittoria, 1900. 

116.jpg (3296 byte) Imbuto, dal lat. Imbuere (p.p. Imbutum), in sic. Mutu i na quartara.

Costruito artigianalmente interamente in latta, si costituisce di un cilindro, o "pavera", che nella parte superiore ha un rinforzo in "raetta", o ferro piatto sottile. Nel lato interno vi è la "contropavera" che serviva, durante l’operazione di travaso dalla quartara, ad impedire la fuoriuscita del vino. Al di sotto del cilindro vi è graffato un troncocono, o "pillirina", a cui segue la "cannedda", o cannula, che ha un rinforzo e 3 fili di ferro saldati per la fuoriuscita dell’aria dal recipiente da riempire.

 

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 SCHEDA N.117/1996, Esperto A. Zarino
n.inv. s.n., acquisto 1995, Vittoria, 1800-1900.

117.jpg (6179 byte)Pipa, dal franc. Pipe, in sp. Pipa, in sic. Pippa.

Particolare tipo di recipiente per trasbordare dall’arenile sui velieri il vino da esportare. È costruito artigianalmente con tavole di castagno sagomate, tenute assieme da 8 cerchi larghi di sottile ferro piatto, o "raetta", che vanno restringendosi dal centro alla periferia, dov’è un "timpagnu" di appena 12 cm di diametro.

117A.jpg (10907 byte)Ciò in quanto, travasatovi i 40 litri di vino del "carratieddu", le "pippe" venivano legate l’una di seguito all’altra, come i grani del rosario, tramite i buchi delle "raette" che fuoriescono alle due estremità. Quindi venivano trainate dalle barche fin sotto i velieri dove, con le grosse gomene, venivano imbracate e tirate su facendole rotolare su se stesse, come si vede dalle foto esplicative.

 

117B.jpg (11068 byte)Svuotate le "pippe" nelle botti delle stive, si rifaceva l’operazione fino al completamento del carico.